Il danno da perdita di chance si riferisce alla perdita di una concreta e apprezzabile possibilità di conseguire un beneficio o di evitare un pregiudizio. Si tratta di un concetto giuridico che non si limita alla perdita effettiva di un vantaggio, ma che si focalizza sulla mancata opportunità di raggiungerlo. Il termine "chance" viene infatti utilizzato per descrivere una probabilità ragionevole che un evento favorevole si sarebbe verificato se non fosse stato per l'azione o l'omissione di un altro soggetto.
Questo tipo di danno viene riconosciuto in diversi ambiti, come quello lavorativo, sanitario, scolastico o contrattuale, ed è spesso difficile da dimostrare e quantificare. Per comprendere meglio il danno da perdita di chance, è essenziale analizzare le circostanze in cui si verifica, il funzionamento dell’onere della prova, i criteri per la liquidazione e le interpretazioni giurisprudenziali che lo riguardano.
Il termine chance in questo contesto è da ricondurre al diritto romano. La parola deriva infatti dall’espressione latina cadentia, riferita al cadere dei dadi e significa “buona probabilità di riuscita” . Si tratta quindi di una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza.
Il danno da perdita di chance, ovvero la perdita della possibilità di conseguire un bene del genere più vario esiste da tempo nel diritto di Oltralpe. In Italia invece è esplorata dal nostro sistema giuridico solo di recente.
Per capire meglio in cosa consiste dobbiamo ricapitolare che “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Un comportamento umano ommissivo o commissivo deve aver causato un danno ingiusto, cioè ledere un interesse meritevole di tutela.
Il comportamento dannoso deve essere legato all'evento dal nesso di causalità, ossia dev'essere stato causa efficiente dell'effetto dannoso.
Il danno da perdita di chance si verifica quando un soggetto subisce un pregiudizio che gli preclude una possibilità concreta di ottenere un risultato favorevole. Non si tratta di un danno diretto, ma di un danno indiretto, che deriva dalla perdita di una probabilità di successo.
Un esempio classico si ha in ambito sanitario, quando un errore medico impedisce a un paziente di beneficiare di cure che avrebbero potuto migliorare le sue condizioni di salute o garantirgli una maggiore probabilità di sopravvivenza.
Altri esempi includono situazioni lavorative in cui un dipendente perde un'opportunità di carriera a causa di comportamenti illeciti del datore di lavoro, oppure in ambito contrattuale, quando un inadempimento priva una parte della possibilità di concludere un affare vantaggioso.
La caratteristica distintiva di questo tipo di danno è che non si riferisce al mancato conseguimento del risultato finale, ma alla perdita di una possibilità. Non è necessario dimostrare che il beneficio sarebbe stato ottenuto con certezza, ma che esisteva una probabilità concreta e apprezzabile.
L’onere della prova nel danno da perdita di chance è uno degli aspetti più complessi. Spetta al soggetto che richiede il risarcimento dimostrare che:
Tuttavia, poiché si tratta di una probabilità e non di un evento certo, il livello di prova richiesto è meno rigoroso rispetto a quello necessario per dimostrare un danno diretto. La giurisprudenza italiana, infatti, ha stabilito che il danno da perdita di chance può essere dimostrato anche attraverso presunzioni e criteri probabilistici. Questo significa che il giudice può basarsi su elementi indiziari e su una valutazione logica delle circostanze per stabilire se la perdita della possibilità è stata causata dal comportamento del convenuto.
Ad esempio, in ambito medico, il paziente deve dimostrare che un trattamento omesso o tardivo avrebbe aumentato significativamente le sue probabilità di guarigione o di sopravvivenza. Non è necessario provare che il trattamento avrebbe certamente portato a quel risultato, ma che le possibilità fossero concrete e quantificabili.
La liquidazione del danno da perdita di chance rappresenta un’altra sfida. Poiché si tratta di una probabilità e non di un evento certo, il risarcimento non può corrispondere al valore integrale del beneficio perduto, ma deve essere proporzionato alla probabilità concreta che il risultato si sarebbe verificato.
Il giudice valuta il danno in base a criteri equitativi, tenendo conto di tutte le circostanze del caso e delle prove fornite. Per calcolare il risarcimento, spesso si utilizzano percentuali che rappresentano la probabilità della chance perduta. Ad esempio, se un paziente avrebbe avuto il 50% di possibilità di sopravvivere in seguito a un trattamento corretto, il risarcimento sarà pari al 50% del valore totale del danno.
In alcuni casi, la liquidazione può essere effettuata in via forfettaria, specialmente quando è difficile stabilire con precisione il valore economico della chance. Tuttavia, è sempre necessario che il giudice motivi adeguatamente la propria decisione, spiegando i criteri utilizzati per determinare l’importo del risarcimento.
In dottrina si afferma che nel calcolo del danno da perdita di occasione favorevole debba utilizzarsi il cd coefficiente di riduzione: si assume come parametro di riferimento il bene finale cui si aspirava diminuito del coefficiente di riduzione, risultante dal grado di probabilità di conseguirlo in relazione al caso concreto xl.
Esemplificando se trattandosi di un concorso a cui partecipano 10 concorrenti, per un unico posto disponibile, ipotizzando che l’utile economico complessivo perseguibile fosse 1000, il calcolo della chance perduta è dato dalla possibilità di vincere il concorso ovvero 10 %: questo sarà il coefficiente di riduzione da applicare al guadagno sperato (10 % di 1000 = 100).
La giurisprudenza italiana ha contribuito in modo significativo a definire i confini del danno da perdita di chance e a stabilire i principi che ne regolano l’applicazione. Le pronunce più significative hanno sottolineato che la chance deve essere concreta e apprezzabile, distinguendola dalle mere aspettative o speranze. Non ogni possibilità perduta può essere risarcita; è necessario che esista una probabilità reale e quantificabile.
Ad esempio, la Cassazione nel 2007 ha definitivamente statuito che “il danno derivante dalla perdita di chance non è una mera aspettativa di fatto, ma una entità patrimoniale a sé stante, economicamente e giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione”.
Altra dottrina di recente sostiene che “la chance perduta costituisce in definitiva un escamotage, di cui si avvale l’interprete per più facilmente individuare e graduare il quantum risarcitorio da infliggere a chi col suo comportamento non si è uniformato ai principi della correttezza e della lealtà e che per questo deve essere sanzionato”.
Secondo la tesi in parola ciò che diviene oggetto di risarcimento, “non è allora la chance irrimediabilmente compromessa di conseguire un risultato utile, bensì la violazione dell’obbligo giuridicamente rilevante che imponeva un certo comportamento”.
In tale ottica la chance è vista come una tecnica processuale e non quale doglianza ad una lesione patrimoniale.
La giurisprudenza ha anche chiarito che il danno da perdita di chance non deve essere confuso con il danno emergente (il danno già concretamente verificato) o con il lucro cessante (il mancato guadagno). È una categoria autonoma, che si colloca a metà strada tra questi due concetti. In proposito leggi tutto sul danno patrimoniale.
Infine, la giurisprudenza ha ribadito l’importanza di criteri equitativi nella liquidazione del danno, sottolineando che il giudice deve valutare caso per caso, tenendo conto delle peculiarità della situazione e delle prove disponibili.
La Corte di Cassazione ha stabilito che, in ambito sanitario, il paziente non può ottenere un risarcimento per la perdita di una possibilità di guarigione o di sopravvivenza se tale possibilità era troppo remota o teorica. In altre parole, il danno da perdita di chance si riferisce a probabilità significative, non a possibilità marginali o speculative.
Di recente è da segnalare una tesi predicata da più parti secondo cui a fronte di una lesione alla salute e all’integrità fisica si preveda un’unica posta di danno “pluririsarcitoria”: partendo dall’assunto che il danno biologico può incidere sulla capacità reddituale e lavorativa (specifica o generica) del danneggiato, si afferma che con il risarcire la lesione alla salute il giudicante deve considerare tutte le probabili ripercussioni future. In parole povere il danno patrimoniale da perdita di capacità lavorativa assorbirebbe il danno da perdita di chance e sarebbe da risarcire in un’unica voce di danno a titolo di danno biologico.
Il dibattito sulla sua natura giuridica si divide in tre filoni: il lucro cessante, il danno emergente e una teoria intermedia.
Secondo una prima interpretazione, la perdita di chance rientrerebbe nel lucro cessante, cioè nella mancata realizzazione di un guadagno futuro. Questo approccio vede la chance come una probabilità che, a causa di un comportamento illecito, non si è tradotta in un risultato concreto. Tuttavia, molti critici sottolineano che, a differenza del lucro cessante, il danno da perdita di chance presenta un grado di incertezza maggiore. Non si tratta della perdita di un risultato sicuro, ma di una possibilità, rendendo più complicato stabilire il nesso causale tra condotta e pregiudizio. La giurisprudenza riconosce che assimilare la chance al lucro cessante può portare a difficoltà probatorie, poiché il danno non è certo, ma potenziale.
Un’altra interpretazione considera la perdita di chance come un danno emergente. In questa visione, la chance è un’entità patrimoniale già esistente nel patrimonio del danneggiato, autonoma rispetto al risultato finale cui si aspirava. Si tratta di una possibilità concreta e attuale di conseguire un beneficio, che viene lesa dal comportamento illecito. La giurisprudenza giuslavoristica ha spesso applicato questa teoria, specialmente nei casi di selezioni concorsuali o promozioni, in cui il danno non consiste nella perdita del risultato finale, ma nella privazione della possibilità di accedere a ulteriori fasi di valutazione. Questa possibilità, intesa come attitudine attuale del patrimonio del danneggiato, è ritenuta concreta e risarcibile.
Una teoria più recente tenta di conciliare le due precedenti. In questa visione, la chance è considerata una posta attuale e autonoma del patrimonio, distinta dal risultato finale. La perdita di chance si divide in due categorie: la possibilità di conseguire un bene ultimo, qualificabile come lucro cessante, e la concreta probabilità di raggiungere un risultato, assimilabile al danno emergente. Questa visione è stata accolta dalla giurisprudenza, che in alcuni casi distingue chiaramente i due profili: la perdita di chance come potenziale guadagno (lucro cessante) e come possibilità concreta e attuale (danno emergente).
La giurisprudenza ha evoluto la sua posizione nel tempo. Inizialmente, la perdita di chance era considerata esclusivamente una forma di lucro cessante. Successivamente, è stata riconosciuta anche come danno emergente, soprattutto nei casi in cui la chance rappresenta una possibilità concreta esistente nel patrimonio del danneggiato. La Corte di Cassazione ha confermato che la perdita di chance è risarcibile, purché sussista un pregiudizio certo, anche se non quantificabile con precisione. La Suprema Corte ha inoltre specificato che, in ambito lavorativo, la perdita di chance può consistere nella privazione di ulteriori opportunità occupazionali o progressioni di carriera, qualificandola come un danno patrimoniale risarcibile.
In sintesi, la perdita di chance può essere interpretata come lucro cessante o danno emergente, ma deve sempre essere basata su una possibilità concreta e statisticamente rilevante. La sua natura dipende dal contesto specifico e dal tipo di pregiudizio subito, richiedendo una valutazione approfondita delle circostanze e delle prove.