In questa guida completa parliamo del Trattamento di Fine Rapporto, conosciuto anche come TFR. Vediamo nel dettaglio cos'è, come funziona e come si calcola. In particolare scopriamo come viene rivalutato nel periodo di accontanamento e come viene tassato al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Dal 2007 i lavoratori di aziende con almeno 50 dipendenti possono decidere di mantenere il TFR presso il datore di lavoro o di destinarlo a forme di previdenza complementare. In quest'ultimo caso viene gestito da un apposito fondo istituito presso l’Inps (Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto, c.d. Fondo Tesoreria: art. 1, c. 749 – 766, L. 296/2006; D.M. 30 gennaio 2007).
Vediamo anche qual è la destinazione più conveniente e cosa fare se il datore di lavoro non paga il trattamento di fine rapporto.
Ma andiamo con ordine e vediamo cos'è il Trattamento di Fine Rapporto o TFR. Si tratta di una somma che il datore di lavoro accantona per il dipendente durante il periodo di lavoro. Essa che viene corrisposta alla fine del rapporto lavorativo. È infatti una forma di retribuzione differita che ha lo scopo di garantire al lavoratore una liquidità aggiuntiva una volta conclusa la sua esperienza lavorativa con un’azienda.
Questo istituto è regolamentato dalla legge italiana e rappresenta un diritto fondamentale per ogni lavoratore subordinato, a prescindere dalla tipologia di contratto.
Il TFR è disciplinato dall'articolo 2120 del codice civile, riconosciuto ai dipendenti del settore privato e, ai sensi del D.P.C.M.20 dicembre 1999 , anche ai dipendenti pubblici assunti dopo il 31 dicembre 2000 (ad eccezione delle categorie cosiddette "non contrattualizzate").
A disciplinarne la natura, sotto la tutela del COVIP (commissione di vigilanza sui fondi pensione), è il decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005.
L'articolo 3, comma 2, del D.L. 79/1997 (come modificato dall'articolo 1, comma 484, della L. 147/2013) ha stabilito che l'ente erogatore provvede alla liquidazione decorsi 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio e per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione, decorsi 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Con la L. 232/2016 è stato disposto che:
L’ammontare del TFR dipende da diversi fattori, tra cui la retribuzione annua lorda del lavoratore, la durata del rapporto di lavoro e l’eventuale destinazione scelta dal dipendente. Per calcolarlo, si considera ogni anno una quota pari a circa il 6,91% della retribuzione annuale lorda, a cui si applicano determinate rivalutazioni previste per legge. Il calcolo può variare in base alla contrattazione collettiva applicata e a eventuali accordi aziendali specifici. Una parte importante del processo è rappresentata dalla rivalutazione annuale, che tiene conto dell’inflazione e di un tasso fisso dello 0,75%, garantendo così una crescita del valore del TFR nel tempo.
Il TFR equivale così circa a una mensilità lorda. Gli importi accumulati vengono rivalutati al 31 dicembre di ogni anno, applicando un tasso composto dall'1,5% fisso e dal 75% dell'incremento dell'indice dei prezzi al consumo.
La rivalutazione del TFR è un aspetto fondamentale che garantisce il mantenimento del potere d’acquisto della somma nel tempo. Ogni anno, l’importo accantonato viene rivalutato sulla base di un tasso fisso dello 0,75% e di una componente variabile legata all’inflazione. Questo meccanismo protegge il valore del TFR dalle variazioni dei prezzi, assicurando che il lavoratore riceva una somma equa e proporzionata al costo della vita al momento della liquidazione.
La tassazione del TFR è diversa rispetto alla normale retribuzione mensile. La somma ricevuta alla fine del rapporto di lavoro è soggetta a una tassazione separata, con aliquote ridotte rispetto a quelle applicate sul reddito ordinario.
Questo sistema è pensato per alleviare il peso fiscale sul lavoratore, considerando che il TFR rappresenta un accantonamento pluriennale e non un guadagno immediato. Tuttavia, l’aliquota applicata varia in base all’importo complessivo e al periodo di maturazione, rendendo utile un’attenta pianificazione fiscale per massimizzare i vantaggi.
Una delle decisioni più importanti per il lavoratore riguarda la destinazione del TFR. La normativa italiana consente al dipendente di scegliere se lasciare il trattamento di fine rapporto in azienda, dove verrà accantonato e gestito direttamente dal datore di lavoro, oppure se destinarlo a un fondo pensione complementare. La scelta è cruciale poiché determina il modo in cui il TFR verrà gestito e rivalutato nel corso degli anni. Optare per un fondo pensione può offrire vantaggi fiscali e una maggiore crescita del capitale grazie agli investimenti, ma dipende dalle esigenze personali e dai progetti di vita del lavoratore.
Al momento dell'assunzione, infatti, ti verrà consegnato anche un modulo definito TFR2. Da quel momento avrai 180 giorni per scegliere se trattenere il TFR in azienda o versarlo su un fondo pensione complementare.Cosa fare se passano questi 180 giorni senza restituire il modulo TFR2 al datore di lavoro? Il Trattamento di Fine Rapporto non decadrà, ma semplicemente verrà versato in maniera automatica in un fondo di categoria. Il più delle volte, questo fondo viene suggerito dal Contratto collettivo nazionale di lavoro nel quale rientra la tua professione, che potrai individuare tramite portali web come quello di Conflavoro PMI, la confederazione delle piccole e medie imprese.
Solitamente, la richiesta di un cambio di destinazione del TFR viene effettuata per passare dal versamento in azienda a quello su un fondo pensione. Al dipendente, dopo aver aperto una posizione previdenziale integrativa, basterà compilare un nuovo modulo TFR2 dove si richiede il versamento sul fondo pensione, che potrà essere già stato aperto in precedenza.Una volta in possesso della documentazione necessaria, sul fondo pensione verrà versato unicamente l'importo del TFR che avrai maturato dal momento dell'adesione.
Come da decreto legislativo n. 252/2005, solo se fai parte di un'azienda con 50 o più dipendenti potrai chiedere che venga versato sul fondo pensione anche l'importo maturato precedentemente all'adesione al fondo, che il datore di lavoro ha già versato al fondo di tesoreria dell'INPS.
Per cambiare la destinazione del TFR bisogna fare una comunicazione scritta al datore di lavoro e compilare un modulo denominato TFR2. Esso contiene diverse sezioni: vediamole tutte.
Il TFR viene riportato nella busta paga del lavoratore, solitamente in una sezione dedicata che indica l’importo accantonato fino a quel momento. È importante sapere che il valore indicato non corrisponde all’intero ammontare del TFR maturato, poiché non tiene conto delle rivalutazioni annuali applicate alla fine del rapporto di lavoro. La voce in busta paga serve principalmente a fornire una traccia del progressivo accumulo delle somme destinate al trattamento di fine rapporto.
Non tiene neanche conto della tassazione che sarà applicata nel momento in cui la somma viene liquidata.
E se il TFR in busta paga non si vede? Se il TFR non compare in busta paga, è possibile chiedere al datore di lavoro un prospetto del TFR, soprattutto se si ha bisogno di richiedere un anticipo.
In caso di cessazione del rapporto di lavoro, il TFR potrebbe non essere indicato in busta paga perché, per garantire una rivalutazione più precisa, il pagamento potrebbe avvenire il mese successivo. Inoltre potrebbe non essere visibile in busta paga è se è stato destinato a fondi di previdenza complementare.
Il diritto al TFR matura in due occasioni principali: alla cessazione del rapporto di lavoro e, in determinati casi, attraverso un anticipo. Alla fine del contratto, il lavoratore ha diritto a ricevere l’intera somma maturata, indipendentemente dalla ragione della cessazione (dimissioni, licenziamento, pensionamento). Tuttavia, la legge prevede che il lavoratore possa richiedere un’anticipazione del TFR durante il rapporto di lavoro, a determinate condizioni.
La possibilità di anticipo è riservata a chi ha accumulato almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro. Le richieste di anticipo sono solitamente legate a necessità specifiche, come spese mediche straordinarie, l’acquisto della prima casa o eventi particolari previsti dalla normativa. L’anticipo può arrivare fino al 70% del TFR maturato, ma la concessione è soggetta alla disponibilità del fondo aziendale.
Esso è concesso esclusivamente ai dipendenti del settore privato che lavorano da 8 anni per lo stesso datore, soltanto una volta nel corso dell'accumulo e la somma richiesta non può superare il 70% del valore della cifra maturata sino a quel momento.
La domanda di anticipo deve essere sostenuta da una giusta causa. La legge, con l'articolo 2120 del codice civile, ne individua due:
Come previsto dall'art. 2120 del codice civile, che disciplina il TFR, l'anticipo TFR può essere soddisfatto annualmente solo per il 10% degli aventi diritto e, comunque, mai in misura superiore al 4% del numero totale dei dipendenti. Quindi, se l'impresa ha già sforato i limiti annuali imposti dalla normativa, il dipendente potrebbe non ottenere l'anticipo TFR, pur avendo i requisiti richiesti.
L'anticipo TFR può essere richiesto senza motivazione, a patto che si giustifichi la richiesta sotto la voce "Motivi personali". In questo caso però il dipendente può ottenere l'anticipo solo in misura del 30% e il datore di lavoro può rifiutare la richiesta. Inoltre, l'anticipo TFR per motivi personali non può essere richiesto in aziende con meno di 25 dipendenti.
Quando il datore di lavoro non paga il TFR, il dipendente può intraprendere diverse azioni per tutelare i propri diritti. La prima mossa consiste nell’inviare una comunicazione formale, come una lettera raccomandata, per richiedere il pagamento delle somme dovute. Se il datore di lavoro continua a non adempiere, è possibile rivolgersi al giudice del lavoro per ottenere un decreto ingiuntivo. Nei casi più gravi, quando l’azienda è in difficoltà economica o in fallimento, il lavoratore può accedere al Fondo di Garanzia dell’INPS, che interviene per garantire il pagamento del TFR in caso di insolvenza del datore di lavoro.
Un altro aspetto importante da considerare è la prescrizione del diritto al TFR. La legge stabilisce che il lavoratore ha dieci anni di tempo, a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro, per richiedere il pagamento del TFR. Trascorso questo periodo, il diritto si estingue, e il lavoratore non potrà più reclamare le somme dovute. È quindi essenziale agire tempestivamente nel caso in cui il datore di lavoro non liquidi il trattamento di fine rapporto nei tempi previsti.