Il cadmio è un metallo pesante che può causare gravi danni alla salute. L'esposizione a questo metallo può avvenire sia in ambito lavorativo che attraverso l'assunzione di alimenti contaminati. I militari che partecipano a missioni all'estero o a esercitazioni con l'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito sono esposti al rischio di cadmio, in quanto durante l'esplosione si disperdono nanoparticelle di metalli pesanti nell'ambiente, contaminando aria, suolo, acqua e catena alimentare.
Il cadmio viene utilizzato in diversi processi industriali ed è presente in vari alimenti a causa della contaminazione. È importante conoscere le categorie professionali a rischio e i limiti di cadmio consentiti per gli alimenti secondo la legge. Inoltre, è fondamentale comprendere gli effetti del cadmio sulla salute e prendere misure preventive.
Le vittime di esposizione professionale al cadmio hanno diritto al riconoscimento di malattia professionale e alle prestazioni economiche e sanitarie dell'INAIL. Hanno anche diritto a un risarcimento integrale dei danni subiti, inclusi danni patrimoniali e non patrimoniali come il danno biologico, morale ed esistenziale.
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Il cadmio è un metallo pesante che si trova associato ai minerali di zinco. Viene estratto principalmente come sottoprodotto dell'estrazione dello zinco e viene utilizzato in diversi settori industriali.
Si presenta di colore bianco-argenteo con riflessi azzurrognoli ed è piuttosto tenero, tanto che può essere tagliato con un coltello. Nella tavola periodica è l’elemento chimico di numero atomico 48 e il suo simbolo è Cd.
Esistono anche alcuni rari minerali del cadmio quali il solfuro (greenockite) e il carbonato basico (otavite). Il cadmio viene estratto in genere come sottoprodotto dell’estrazione e della raffinazione dello zinco e, in minor misura, del piombo e del rame. Piccole quantità di cadmio (circa il 10% del consumo totale) provengono dal riciclaggio di rottami di ferro e d’acciaio.
Il cadmio fu scoperto già all’inizio del 1800. Fu usato regolarmente nell’industria solo a partire dalla Prima Guerra Mondiale. Prima ancora però la farmacopea britannica (British Pharmaceutical Codex) annoverava lo ioduro di cadmio tra i medicinali per curare “le giunture ingrossate, la scrofola e i geloni”.
Il cadmio è tossico anche a basse concentrazioni e tende ad accumularsi negli organismi e negli ecosistemi.
L’acqua può risultare contaminata quando è presente sotto forma di impurezza nello zinco di condutture galvanizzate o nelle saldature di cadmio degli impianti di riscaldamento e di raffreddamento dell’acqua e nei rubinetti. I livelli di cadmio possono essere più elevati in aree rifornite di acqua dolce con basso pH, perché questo tipo di acqua tende ad essere più corrosiva nei sistemi condottati che contengono cadmio.
Si stima che attraverso l’alimentazione introduciamo tutti i giorni 10-35 μg. di cadmio. L’ingestione attraverso l’acqua è generalmente inferiore a 2 μg/die. Il fumo di sigaretta aumenta l’introito giornaliero di cadmio di circa 2-4 μg (per 20 sigarette fumate). L’esposizione attraverso l’aria dell’ambiente non supera gli 0,8 μg/die.
Le categorie professionali a rischio di esposizione al cadmio includono coloro che lavorano nella produzione di leghe contenenti cadmio, nella cadmiatura di oggetti metallici e nella saldatura con elettrodi contenenti cadmio.
il cadmio è largamente e principalmente utilizzato nella produzione delle batterie elettriche, in particolare nelle pile al nichel-cadmio. Viene usato anche per produrre pigmenti, rivestimenti e stabilizzanti per materie plastiche, in misura minore.
Viene inoltre utilizzato in alcune leghe metalliche per la saldatura, nelle cadmiature (rivestimento di materiali con una pellicola di cadmio metallico), nella stabilizzazione del PC e come barriera per controllare le reazioni di fissione naturale. Ancora per produrre i fosfori dei televisori.
Sono categorie a rischio anche i militari perché, come già accennato, l'uso di proiettili all'uranio impoverito sprigiona nanopartipalle di metalli pesanti tra cui il cadmio.
Come già accennato l’esposizione al cadmio e a altri metalli pesanti è connessa anche all’utilizzo di munizioni all’uranio impoverito. Questo metallo radioattivo e altamente denso ha un potere perforante particolarmente alto. Durante la denotazione i proiettili e i target centrati rilasciano nanoparticelle di metalli pesanti, tra cui può essere presente il cadmio.
I militari italiani impiegati nelle guerre in Kosovo, in Libano e in Iraq e in alcune esercitazioni hanno riportato gravi malattie connesse all’esposizione a metalli pesanti, tra cui la Sensibilità Chimica Multipla. Citiamo brevemente il caso del Colonnello Calcagni, contaminato da 28 metalli pesanti durante le missioni svolte nei teatri di guerra in cui veniva usato l’uranio impoverito, intervenuto nel corso della quinta puntata di ONA TV.
La prevenzione dell'esposizione al cadmio è essenziale. È importante lavorare sotto una cappa aspirante quando si maneggia il cadmio e proteggere le vie respiratorie per evitare l'inalazione delle polveri. Si applica così la prevenzione primaria che consiste nell'evitare le esposizioni dannose. La prevenzione secondaria si basa sull'anamnesi lavorativa e sugli esami per diagnosticare l'esposizione al metallo pesante. La prevenzione terziaria prevede la tutela legale degli esposti per prevenire ulteriori esposizioni e garantire un adeguato risarcimento per le vittime di malattia professionale o causa di servizio.
La normativa europea stabilisce i limiti di cadmio consentiti negli alimenti. È importante monitorare l'assunzione di cadmio attraverso l'alimentazione e adottare misure per ridurre l'esposizione.
L'esposizione al cadmio può causare gravi disturbi alla salute, in particolare ai reni, alle ossa, al sistema nervoso e al sistema immunitario. È classificato come un agente cancerogeno di gruppo 1 dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro.
Le polveri di cadmio vengono assorbite soprattutto per via inalatoria e in minima parte tramite cute e mucose, quindi è proprio le vie respiratorie che è necessario proteggere per evitare le esposizioni dannose.
Una volta assorbito, il cadmio si lega ai globuli rossi e alle proteine plasmatiche per poi accumularsi nel fegato e nei reni. In questi organi può permanere anche per diversi anni, rendendo difficile il monitoraggio biologico dell’esposizione acuta. Una volta depositato, lo smaltimento avviene assai lentamente attraverso le feci e le urine.
L'accumulo di questo metallo pesante nel corpo nel corso del tempo può provocare una serie di disturbi. Gli organi più colpiti sono i reni, la cui funzionalità può essere compromessa a causa della presenza di questo metallo, portando nei casi più gravi a insufficienza renale.
Un'eccessiva esposizione al cadmio può anche causare diarrea, dolori addominali e vomito, nonché una demineralizzazione delle ossa che può portare a fratture. Altri disturbi legati all'eccesso di cadmio includono problemi di fertilità, danni al sistema nervoso, al sistema immunitario e disturbi psicologici.
Il cadmio è classificato come una sostanza cancerogena di gruppo 1 dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC). Qui è possibile trovare una monografia sul cadmio che riporta studi che lo correlano al cancro ai polmoni, prostata, fegato, pancreas, seno, vescica ed endometrio.
Il cadmio è stato responsabile di un grave inquinamento del suolo e delle acque in Giappone, che ha portato all'insorgenza della malattia chiamata "itai-itai". Nel 1912, a causa del rilascio massiccio di questo metallo pesante nei fiumi nella prefettura di Toyama da parte delle compagnie minerarie, si è verificata un'epidemia di avvelenamento di massa. Questo ha causato gravi fragilità ossee e insufficienza renale. "Itai" significa "doloroso" in giapponese, riferendosi ai forti dolori alle ossa e alla colonna vertebrale.
Il cadmio presente nel plasma si lega principalmente alla metallotioneina, una proteina contenente gruppi sulfidrilici. Questa proteina contenente il metallo viene eliminata attraverso la filtrazione glomerulare e poi riassorbita dalle cellule del tubulo prossimale, dove provoca tossicità. Il fatto che una grande quantità venga riassorbita spiega perché nelle prime fasi dell'esposizione il cadmio viene escreto nelle urine in modo limitato, sebbene l'escrezione sia comunque significativa. In seguito, l'esposizione prolungata e continua provoca tossicità sulle cellule tubulari, portando al fallimento del rene nel riassorbire il cadmio escreto.
Un'esposizione a polveri di cadmio pari a 5 mg/m³ può essere letale in circa 8 ore; esposizioni di 1 mg/m³ possono causare una significativa tossicità a livello delle vie respiratorie, con dispnea, tosse, febbre e affaticamento. L'ingestione di alimenti contaminati può causare una sindrome gastroenterica caratterizzata da diarrea, nausea, vomito e disidratazione.
L'unico indicatore di dose disponibile è la cadmiuria, cioè la presenza di cadmio nelle urine. Come descritto nella sezione "patogenesi", il cadmio urinario viene escreto nelle prime fasi dell'esposizione e quando si verifica un danno renale. Inoltre, a causa dell'accumulo nel fegato e nei reni, la cadmiuria può rimanere elevata anche molto tempo dopo l'esposizione. Pertanto, la cadmiuria è un buon indicatore di dose solo se viene valutata insieme a una storia occupazionale dettagliata.
La nefropatia da cadmio porta all'escrezione di diverse proteine a basso peso molecolare. Pertanto, la presenza di queste proteine a livello renale è un indicatore tipico di danno renale quando è presente cadmiuria. In caso di esposizione prolungata, il danno renale cronico può essere sospettato se la proteinuria rimane elevata anche dopo la cessazione dell'esposizione.
Nel settore alimentare, il regolamento CE 1881/04, insieme ai più recenti regolamenti (UE) 2021/1323 e (UE) 2021/1317, stabilisce i limiti per il piombo e il cadmio nei paesi europei.
Secondo l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), l'esposizione media degli adulti europei al cadmio si avvicina o supera leggermente la dose tollerabile. Inoltre, per alcuni gruppi di consumatori come vegetariani, vegani, bambini e persone che vivono in aree particolarmente contaminate, i livelli di assunzione possono raggiungere il doppio della dose tollerabile.
Già nel 2014 sono stati stabiliti nuovi limiti per gli alimenti destinati a lattanti e bambini, per il cioccolato e per i prodotti a base di cacao. Per altri alimenti è stata adottata una strategia di "riduzione graduale" attraverso l'implementazione di metodi di mitigazione. Questa strategia ha dimostrato che è possibile ridurre le concentrazioni di cadmio, e quindi sono stati introdotti nuovi limiti.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stabilito un valore guida di 3 μg/L per il cadmio nell'acqua. Il Decreto Legislativo 31/2001 ha fissato un valore limite di 5,0 μg/L per l'acqua potabile. Attraverso processi di coagulazione o precipitazione, è possibile raggiungere una concentrazione di 0,002 mg/L di cadmio nell'acqua destinata al consumo umano.
L'esposizione professionale al cadmio può causare le seguenti malattie professionali riconosciute dall'INAIL e incluse nelle apposite tabelle dell'ente assicurativo:
Le malattie elencate nella Lista II, a differenza di quelle della Lista I, non sono presunte di origine professionale. Pertanto, è necessario che il lavoratore dimostri la presenza di cadmio sul luogo di lavoro e l'associazione causale per ottenere il riconoscimento delle malattie professionali. L'Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) fornisce assistenza legale gratuita per ottenere la tutela INAIL o il riconoscimento della causa di servizio per i dipendenti delle Forze Armate e il completo risarcimento dei danni subiti.
Il cadmio è incluso tra i metalli pesanti identificati ai sensi dell'articolo 1078 del Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, come responsabili dell'insorgenza di patologie tumorali se introdotti nell'organismo umano in forma nanometrica, insieme alle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti L'art. 603 del Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare) stabilisce che al fine di riconoscere la causa di servizio e fornire adeguati indennizzi al personale militare italiano che abbia contratto infermità o patologie tumorali a seguito di condizioni ambientali o operative particolari, è autorizzata una spesa di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2008-2010.
Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010, all'articolo 1078, definisce le missioni di qualunque natura come le attività istituzionali di servizio delle Forze armate e di polizia svolte sia in territorio nazionale che all'estero. Inoltre, per teatro operativo all'estero intende l'area al di fuori del territorio nazionale in cui sono presenti o sono stati presenti personale delle Forze armate e di polizia italiane nell'ambito di missioni internazionali e umanitarie.
Chi ha diritto al riconoscimento della causa di servizio in caso di esposizione all'uranio impoverito?
L'articolo 1079 stabilisce che i soggetti che hanno diritto all'indennizzo per la causa di servizio sono:
Si evidenzia che ciò che rileva è anche il concetto di interdipendenza, in ordine alle particolari condizioni, per cui, «Il fatto che, allo stato delle conoscenze scientifiche, non sia acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell’esposizione all’uranio impoverito non osta, dunque, al diritto alla percezione dell’indennità, che comunque spetta allorché l’istante abbia contratto un’infermità verosimilmente a causa di “particolari condizioni ambientali ed operative”, di cui “l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico” costituiscono solo un possibile aspetto» (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).