I minerali di amianto causano danni alla salute: danno biologico fino alla morte. Il tema del danno biologico da malattie amianto è centrale nella più recente giurisprudenza.
Recentemente, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 35416/2022, ha trattato il tema del danno biologico da patologie ingravescenti. Il caso specifico è quello di tumore polmonare da amianto. La Corte di Appello di Venezia ha confermato la condanna dell'Autorità Portuale, sulla base dell’obbligo di risarcimento del danno biologico.
Nel pronunciarsi, la Corte ha chiarito diversi aspetti del risarcimento dei danni, distinguendo le varie tipologie di pregiudizio contratte dalla vittima in base all'invalidità sofferta.
La Corte di Cassazione, con questa sentenza, ha confermato i principi di Cassazione, Sezione Lavoro, 35228/2022, che aveva accolto le tesi dell’Avv. Ezio Bonanni.
In buona sostanza, debbono essere risarciti tutti i danni, al netto dell’indennizzo INAIL, così come “la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito (art. 138, comma 2, lett. a, e D.Lgs. n. 209 del 2005 art. 139, comma 2)”.
Già con Cassazione, Sezione Lavoro, 35228/2022, si sostiene testualmente:
"Nel caso in esame, la Corte distrettuale, in ipotesi di ritenuta responsabilità del datore di lavoro, avrebbe dovuto anche accertare se il danno biologico terminale (inteso nella fattispecie come danno biologico temporaneo) fosse stato acquisito al patrimonio del de cuius. Era, pertanto, trasmissibile agli eredi, a seguito di un processo di stabilizzazione della lesione alla integrità psicofisica temporanea facendo riferimento, per la eventuale liquidazione (Cass., n.18163 del 2007 e n. 1877 del 2006) per la componente di danno biologico, alle tabelle relative all'invalidità temporanea.
Invece, per la seconda componente, avente natura peculiare, ci si rifà ad un criterio equitativo puro - ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso concreto - che avesse saputo tener conto della enormità del pregiudizio, atteso che la lesione era così elevata da non essere suscettibile di recupero e da esitare nella morte".
Cassazione, III sezione, 26303/2019, ha distinto i diversi postumi invalidanti dall’inabilità temporanea.
Innanzitutto l'inabilità è definita come “situazione patita dal soggetto, a causa della lesione della salute, prima di essere ritenuto dai medici clinicamente guarito” e corrisponde “con il periodo di tempo occorrente per la somministrazione delle cure necessarie a ristabilire il paziente e per il suo completo recupero psicofisico, ed al quale consegue il ripristino della condizione di salute antecedente il sinistro (qualora dalla terapia non esitino condizioni menomative) o la definitiva stabilizzazione delle condizioni invalidanti (qualora al termine delle terapie esitino menomazioni o condizioni peggiorative inemendabili)”.
I postumi sono “inemendabili per la loro natura permanente”, in ragione “del loro collocarsi cronologicamente in un tempo successivo rispetto ad un pregresso diverso stato patologico”.
Si distigue poi l'inabilità temporanea, per la quale il soggetto è leso in modo temporaneo. Quindi si distingue l’inabilità:
Il pregiudizio da invalidità temporanea deve essere riconosciuto “ove il danneggiato si sia sottoposto a periodi di cure necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto lesivo o impedirne l’aumento, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto”.
È invece la Suprema Corte nella sentenza 5197/2015 a dare una definizione dell'invalidità permanente. Essa “costituisce uno stato menomativo, stabile e non remissibile, che si consolida soltanto all'esito di un periodo di malattia. Non può, quindi, sussistere prima della sua cessazione”.
In altre parole, il pregiudizio da invalidità permanente decorre dal momento della cessazione della malattia e della relativa stabilizzazione dei postumi. Può essere quindi valutato solo dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi, dopo il periodo di tempo occorrente per la somministrazione delle cure necessarie a ristabilire il paziente e per il suo completo recupero psicofisico.
Nel caso invece di guarigione, quest’ultima può giustificare solo il risarcimento di un danno biologico temporaneo.
Ai fini della liquidazione del danno biologico, la giurisprudenza ha più volte ribadito che sia il pregiudizio da invalidità permanente sia quello da invalidità temporanea devono formare oggetto di autonoma valutazione.
Tuttavia è importante sottolineare che “il danno biologico di natura permanente deve essere determinato dalla cessazione di quello temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno (Cass., Sez. 3, n. 26897 del 19 dicembre 2014)”.
Al contrario, in caso di decesso della vittima, avvenuto senza stabilizzazione, risulta rilevante il danno terminale. Esso si definisce come “un danno biologico temporaneo che consiste nell'incapacità del soggetto di attendere alle comuni attività quotidiane e allo svolgimento delle relazioni sociali per un tempo limitato, in quanto destinato a cessare, in considerazione della natura letale della lesione, con l'exitus, ossia con la definitiva estinzione della persona fisica”.
La Corte di Cassazione stabilisce che, in questo caso, per la liquidazione del danno può essere utilizzato il criterio equitativo puro o le apposite Tabelle del Tribunale di Milano, ma "con il massimo di personalizzazione in considerazione della entità e intensità del danno”.
Il danno terminale va distinto dal danno biologico da postumi invalidanti di natura permanente. Infatti, il danno terminale “esclude per antonomasia una guarigione e prelude al prossimo decesso. Si identifica non nella intervenuta stabilizzazione delle minorate condizioni di capacità psicofisica, ma nell'evento-morte".
Il rischio latente è la possibilità che i postumi, per la loro gravità, provochino un nuovo e diverso pregiudizio, consistente in una ulteriore invalidità o nella morte ante tempus. Perciò "costituisce una lesione della salute del danneggiato, da considerare nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, secondo le indicazioni della medicina legale”.
La Corte di Cassazione afferma quindi che, qualora il grado di invalidità sia stato determinato tenendo in conto il rischio latente, allora il danno biologico va liquidato in relazione alla concreta minore speranza di vita del danneggiato e non della durata media della vita.
Una vittima, in seguito a una malattia causata dall'esposizione ad amianto, può sviluppare una patologia ingravescente. Questa è definita dalla Corte di Cassazione:
“Dopo un primo evento lesivo, si determinano ulteriori conseguenze pregiudizievoli. Queste, però, costituiscono un mero sviluppo e un aggravamento del danno già insorto e non la manifestazione di una lesione nuova e autonoma rispetto a quella manifestatasi con l'esaurimento dell'azione del responsabile. In simili situazioni, dopo la somministrazione delle cure necessarie a ristabilire il paziente, si è avuta la stabilizzazione del nuovo status, caratterizzato dalla inemendabilità delle peggiorate condizioni di salute. Ma è incontestabile che il danno biologico permanente rimanga tale, sebbene gli effetti dell'illecito ben possono accentuarsi”.
Questo vuol dire che queste patologie comportano per il paziente, in futuro, un maggiore rischio di peggioramento del suo stato di salute, rispetto a quelle malattie che, invece, hanno menomazioni stabilizzate. Tale maggior rischio di aggravamento evolutivo della patologia, che può portare anche alla morte o alla contrazione di altre malattie, non costituisce una conseguenza dannosa distinta rispetto a quelle pregiudizievoli per la salute riconducibili alla stessa patologia. Tuttavia contribuisce a integrare il complessivo stato invalidante: “più alta è la probabilità di esito infausto, maggiore sarà il grado di invalidità”.
In questo caso, secondo la Corte, non sussiste un danno terminale o un danno biologico da inabilità temporanea, ma un danno biologico da invalidità permanente, "atteso che i barèmes (tabelle che esprimono in termini percentuali livelli di disfunzionalità rispetto alla sfera quotidiana di attività dell'essere umano) considerano nella scala dei gradi di invalidità il maggiore rischio, cui è esposto il paziente, di subire, anche a distanza di tempo, una ripresa e sviluppo del fattore patogeno. Questo potrebbe condurre al decesso oppure far incorrere in ulteriori complicanze incidenti peggiorativamente sullo stato di salute, eziologicamente riconducibili all'originaria patologia”.
Il danno alla salute da esposizione all'amianto, derivato da patologia ingravescente, è quindi un danno biologico da malattie amianto permanente e si liquida, quindi, applicando le Tabelle del Tribunale di Milano.
Con la sentenza 35416/2022, in particolare la Corte di Cassazione stabilisce che per le neoplasie polmonari causate da inalazione di amianto e, in generale, per le malattie ingravescenti con alta probabilità o certezza di evoluzione sfavorevole, l'incapacità biologica temporanea perdura in relazione alla durata della malattia. Essa viene a cessare con:
Una volta avvenuto l'adattamento dell'organismo alle mutate e degradate condizioni di salute (stabilizzazione), spetta il risarcimento del danno non patrimoniale, sub specie di danno biologico, il quale va liquidato come invalidità permanente, utilizzando il criterio equitativo puro o le apposite tabelle.
La determinazione del danno biologico da invalidità permanente deve avvenire alla luce delle concrete condizioni di salute del singolo e del periodo di sopravvivenza prevedibile in relazione alla patologia diagnosticata. Lo stato di invalidità del soggetto trova espressione nei gradi percentuali definiti per ciascuna patologia dai barèmes. Questi devono considerare, nella scala dei gradi di invalidità, il maggiore rischio, cui è esposto il paziente, di subire, anche a distanza di tempo, una ripresa e sviluppo del fattore patogeno, che potrebbe condurre al decesso.
Le vittime che subiscono un danno biologico da malattie amianto possono richiedere l'assistenza dell'Avv. Ezio Bonanni, presidente dell'ONA - Osservatorio Nazionale Amianto.
Insieme si occupano della tutela dei diritti e della salute di tutte le vittime, in particolare di coloro che sono esposti ad amianto. Purtroppo la presenza di asbesto è ancora diffusa in molti edifici privati e pubblici, come denuncia l'Avv. Bonanni in "Il libro bianco delle morti di amianto in Italia - Ed.2022".
Grazie al team di avvocati specializzati è possibile ottenere una prima consulenza legale per avviare una causa di risarcimento per i pregiudizi subiti, di natura patrimoniale e non patrimoniale (biologici, morali ed esistenziali).
Inoltre le vittime di amianto hanno diritto alle prestazioni INAIL, ai benefici contributivi e al prepensionamento. Infine possono fare richiesta per ottenere le prestazioni aggiuntive del Fondo Vittime Amianto e il riconoscimento della causa di servizio e dello status di Vittima del dovere.
Richiedi la tua assistenza, chiamando il numero verde 800 034 294 o compilando il form sottostante.