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Published: Gennaio 30, 2023

Amianto: dalla Finlandia viaggio alla scoperta del minerale 

In Finlandia, oltre 4.500 anni fa, dei ceramisti scoprirono una misteriosa fibra composta da sottilissime fibre: l’amianto.

Amianto: la prima scoperta in Finlandia

Con ogni probabilità, a scoprire l’amianto furono dei ceramisti finlandesi nell’Età della Pietra, in Finlandia Occidentale. Gli artigiani scovarono una fibra “miracolosa” (l’antofillite) che si miscelava perfettamente con l’argilla e con la paglia, con cui realizzavano i loro vasi.

A sorprenderli, alcune caratteristiche straordinarie del minerale: la forza e la flessibilità, che avrebbe consentito loro di sfornare dei vasi e utensili da cucina leggeri e solidi al tempo stesso. In aggiunta, si accorsero che la fibra era in grado di resistere alle alte temperature.

Greci, romani ed egiziani utilizzano l’amianto

Altre testimonianze riferiscono circa l’utilizzo dell’amianto durante il periodo Classico, nell’isola di Cipro. Qui si utilizzava la fibra per la manifattura di teli per la cremazione, stoppini per lampade, cappelli e scarpe.

A confermarlo Pedanio Dioscoride (I.sec.d.C) nel suo trattato De materia medica. Il filosofo greco Teofrasto (372-287 d.C.), discepolo di Aristotele, descrisse a Erodoto l’amianto, come una «pietra apparentemente somigliante alla lana, sulla quale se viene versato dell’olio, brucia, ma una volta bruciato tutto l’olio, la pietra cessa di bruciare, come se non fosse responsabile del fenomeno». Peculiarità da cui scaturì l’appellativo di “lana di salamandra".

Altre testimonianze su tale caratteristica

A fornirle, il geografo e storico Strabone (63/58 - 21/25 a.C.) e Apollonio Discolo (II secolo d.C). In particolare, il primo riferiva che nel Mar Egeo, nell’isola di Eubea (Evia), veniva estratta la “pietra di Karystos”.

Egli affermava che la pietra si lavorava attraverso la filatura e pettinatura e che produceva un tessuto simile alla lana, che permetteva di realizzare tovaglie lavate con il fuoco.

Plinio il Vecchio parla dell’amianto

L’erudito latino del I secolo d.C. nel trattato Naturalis historia descriveva il minerale come “lino vivo”.
Egli sosteneva che la fibra, estratta dai monti dell’Arcadia (provincia del Peloponneso) era impiegata per realizzare tessuti, tovaglie, tuniche funebri per i re e sudari in cui si avvolgevano i corpi dei defunti prima della cremazione.

Anassilao di Larissa, naturalista pitagorico ne aveva esaltato le capacità di isolante acustico.

Il minerale che alimenta il fuoco sacro degli dei

Nel II secolo, Plutarco, filosofo e letterato greco, raccontava che le vergini vestali utilizzavano l’amianto per per illuminare il fuoco sacro dei templi di Roma. Anche Pausania, scrittore greco, riferiva che la lampada perpetua del tempio di Minerva Poliade, ad Atene, aveva uno stoppino in lino di Carpasia.

Le miniere erano localizzate a sud/est del monte Troodos, in un villaggio denominato “Amianto” di cui tuttavia non abbiamo più traccia. Da allora, la fibra ha trovato impiego in ogni settore fino ai giorni nostri.

Senza addentrarci nella storia del minerale lungo il corso dei secoli, cerchiamo di conoscere il soggetto dell’articolo e come mai è improvvisamente diventato l’incubo di intere generazioni.

Dalla Finlandia al mondo: significato di amianto

A cosa si riferisce la parola “amianto”? Il termine si riferisce a sei diversi silicati fibrosi, appartenenti alla famiglia dei serpentini e a quella degli anfiboli:

  • actinolite;
  • amosite (amianto bruno);
  • antofillite;
  • crisotilo (amianto bianco);
  • crocidolite (amianto blu o amianto azzurro);
  • tremolite.

Essi vengono chiamati asbestiformi e crescono in fibre lunghe, sottili e flessibili.

Come accennato, la flessibilità, unita alla forza e alla resistenza al calore e ai prodotti chimici, ha fatto sì che l’amianto occupasse per lunghissimo tempo un ruolo in pole position praticamente in ogni settore: dall’industria edile agli oggetti di uso quotidiano.

Amianto: troppo bello per essere vero

La “favola” però questa volta non ha avuto un lieto fine. Si è infatti scoperto che il minerale è altamente cancerogeno e provoca una serie di patologie spesso letali, come conferma la monografia IARC.

Da quel momento, la roccia “miracolose”, tanto cara ai finlandesi si è trasformata in un autentico flagello dell’industria moderna.

Cosa succede se si respira o ingerisce amianto

Dal momento che le fibre sono più sottili di un capello, se ingerite o inalare, i frammenti rimangono bloccati nei rivestimenti delle cavità sierose, danneggiando il DNA delle cellule.

Quando ciò avviene, le cellule si dividono molto velocemente, e nel tempo possono dare origine a diverse patologie asbesto correlate o tumori terribili come il mesotelioma, una rara forma di cancro a oggi incurabile.

Dalla Finlandia i silicati più pericolosi

Fra i silicati di amianto, i più rischiosi per la salute sono un gruppo di rocce chiamate anfiboli. A renderli così pericolosi è la loro composizione chimica ed altre caratteristiche. Innanzitutto sono estremante piccole.

In secondo luogo, essendo particolarmente taglienti, possono perforare gli organi. Questo, a livello dei polmoni provoca infiammazioni o tessuto cicatriziale.

Non si dissolvono nell’acqua, quindi non si possono eliminare con il muco o con la tosse. Infine, contengono ferro, che può reagire con l’ossigeno nei polmoni, danneggiando il DNA delle cellule relative.

Quando si comincia a intuire la pericolosità dell'amianto

Facciamo un passo indietro e torniamo all’Impero Romano, circa duemila anni fa. Alcune fonti storiche riferivano che gli schiavi manifestavano i sintomi di una strana malattia ai polmoni, correlabile con i lavori nelle miniere di amianto.

Il rischio morbigeno legato alla inalazione di polveri era conosciuto anche in Egitto e in Greci. Qui, i lavoratori delle miniere nei pressi del Mar Rosso (dove si estraeva l’oro), e in quelle greche dove si estraevano argento e minio (polvere rossa costituita da miscela di ossidi di piombo, chiamata dai Greci “cinabro”), si ammalavano in continuazione.

Dalla Finlandia all'antica Roma: prime precauzioni

Per tali motivi, gli antichi adottarono le prime misure di sicurezza, attraverso la protezione del viso fasciato con membrane di vesciche allentate. Questo stratagemma serviva per proteggersi e non assorbirle la polvere durante la lavorazione. Allo stesso tempo consentiva agli operai di poter vedere attraverso di esse.

A riferirlo, Plinio il Vecchio: “qui minium in officinis poliunt, faciem laxis vesicis inligant, ne in respirando pernicialem pulverem trahant et tamen ut per illas spectent”.

In aggiunta, i lavoratori cercavano di evitare la dispersione dei vapori nocivi nell’ambiente, conseguenti alla fusione dei metalli.

Dalla Finlandia al Quebec: non tutti erano saggi

Per tutte le epoche successive, in nome del “dio denaro”, si fece finta di non sapere nulla circa i pericoli della fibra. Quando furono aperte le prime miniere estrattive a Quebec, nel 1879, ad esempio, si riscontrarono dei preoccupanti casi clinici legati all’esposizione al minerale.

A parlarne, diversi studi clinici, rigorosamente tenuti nascosti. Ma veniamo alla storia più recente.

Il primo decesso “ufficiale” per asbestosi

Esso risale al 1924. La vittima era la giovane operaia Nellie Kershaw, impiegata in una fabbrica dell’industria tessile nel Regno Unito.
La donna filava amianto da quando aveva 13 anni e morì a soli 33 anni, dopo atroci sofferenze, per asbestosi.

Quando il Parlamento venne a conoscenza del caso, inviò l’ispettore Merewether per investigare.
Dopo aver esaminato i casi di 374 lavoratori, il medico si rese conto che a causare le malattie era l’amianto.

Espose pertanto le sue evidenze in Parlamento e nel 1930, il Regno Unito iniziò a utilizzare degli impianti di ventilazione all’interno delle fabbriche. Ciononostante, per tutto il XX secolo si continuò ad utilizzarlo, senza minimamente pensare alle conseguenze sulla salute.

Osservatorio Nazionale Amianto: Meglio tardi che mai

In Italia, l’amianto è stato vietato con la legge 257/92 e solo nel 2003 è stato bannato in quasi tutta l’Unione Europea. Purtroppo i suoi danni continuano a produrre sofferenza e morte, visti i lunghi tempi di latenza. C’è da sperare che da qui a pochi anni, si possa finalmente mettere la parole fine sulla questione.

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